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Comune di Torre San Giorgio
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Cenni storici
Ai Miei Parrocchiani,

Luglio 1947, mi trovavo da pochi mesi a Torre S. Giorgio, dove non risultava ancora pubblicata una storia locale e allora, nel ricordo di quell’incontro, ho deciso di colmare tale lacuna, prima con saltuarie spigolature pubblicate sul Bollettino Parrocchiale ed ora con il presente volumetto.

La maggior copia di notizie l’ho attinta dall’Archivio Arcivescovile di Torino, da quelli del Comune e della Parrocchia di qui; altre provengono dall’Archivio dei Conti Solaro di Moretta e Torre S. Giorgio (conservato nel Castello di Moretta) per cortese interessamento degli attuali possessori e in particolare della Contessina Clementiria Vassallo di Castiglione e del di Lei nipote Prof. D. Clemente Ferraris di Celle.

Piccole cose di una popolazione molto modesta che visse ai margini della grande Storia, vi porto il suo contributo e ne subì gl’influssi non sempre piacevoli. Nelle varie peripezie pero seppe conservare l’avita Fede Cattolica, dalla quale, c’é da augurarsi, continui a trarre ispirazione per il suo vero progresso spirituale e materiale.

Torre S. Giorgio, 23 Aprile 1956.
Prevosto
Sac. BONETTO D. BENIGNO.
Premessa

Si temono molto le brine primaverili; per questo motivo si fa una Novena di Processioni alla Cappella della Madonnina - dalla Domenica di Pasqua a quella in Albis – consuetudine introdotta fin dal 1740, d’accordo fra la Comunità e il Prevosto Don Roberto.

E’ zona di cacciagione limitata per tutti i cacciatori ai margini della riserva Mauriziana della Fornaca: vi si trovano quaglie, tordi, stornelli, beccaccie, fagiani, lepri, anatre selvatiche; nei tempi antichi questo territorio, essendo in gran parte coperto di boschi, serviva di spasso per la caccia ai nobili proprietari e loro amici.

Nel centro del paese funzionano: un molino a cilindri, due ristoranti, due panetterie, due negozi di commestibili, di cui uno per i monopoli dello Stato, tre di articoli vari casalinghi e di abbigliamento, uno spaccio di carne bovina, aperto quasi tutta la settimana. Due carradori, un falegname, un calzolaio, con un ciclista e due capimastri costituiscono l’artigianato locale.

La temperatura è normale; raramente il caldo supera i 27 gradi e il freddo discende a 7 e 9 gradi sotto zero; poca la neve, frequenti le nebbie.

La stazione delle Ferrovie dello Stato è stata inaugurata, con la linea Airasca-Saluzzo, il 16 maggio 1886 (il Comune vi aveva contribuito nel 1880 con la somma di L. 3880,58); funziona un servizio di Autopullman, in sostituzione del tramvia a vapore, già istituito nel 1880 da una Società Belga: il suo esercizio durò sino al 1948.

Molto utile il telefono pubblico, che funziona dal 1949 e la variante esterna della strada provinciale, bella ed ampia, costruita nel 1953, sul sito del vecchio tramvia. La Scuola materna è tenuta dalle benemerite Suore Cottolenghine - la media dei bambini che la frequentano è di 40 -. Le classi delle Scuole Elementari sono cinque, miste, con tre Insegnanti e la media degli iscritti si aggira sugli 80. Alcuni vi affluiscono per comodità anche dalle cascine dei Comuni confinanti.

La Chiesa parrocchiale è intitolata a S. Giorgio Martire, di cui si celebra la festa, il 23 aprile d’ogni anno.

Torre... nei secoli passati

Le memorie più antiche risalgono alla tribù dei Liguri-Vagienni: scesero poi dalle Alpi i Galli, gente dedita alla pastorizia e alla caccia, ma non si fermarono nelle nostre terre e proseguirono oltre. Più tardi vennero i Salluvii che abitavano fra il Rodano e il Reno e, attraverso a valichi delle Valli Varaita e Po, si mescolarono con i pochi abitanti della nostra zona.

Un 120 anni prima di Gesù Cristo, i Romani s’impadronirono anche del Piemonte; togliendo le antiche libertà, ma comunicando la loro civiltà: furono lasciate alcune truppe di veterani a guardia delle nostre popolazioni, assegnando loro una porzione di terreno per il sostentamento. Chi predicò per primo la religione cristiana alle genti del l’agro Saluzzese? E’ probabile che sia stato S. Dalmazzo, il quale subì il martirio per la Fede il 5 dicembre del 254. Proveniva da Magonza, ma suo padre era italiano, Prefetto di provincia.

Ai tempi delle grandi invasioni barbariche, le nostre terre dovettero risentirne in parte gli effetti deleteri: distruzioni di beni e di vite umane. Attorno al 568 giunsero dalla Germania i Longobardi, in gran parte eretici (ariani) ma cristiani, conducendo mogli, figli e bestiame nella loro trasmigrazione. Nel 774 succedette il regno di Carlomagno che, venuto dalla Francia, aveva sconfitto i Longobardi. Saluzzo e dintorni fecero parte nell’876 del Contado di Auriate che poi si suddivise in altri contadi tutti feudatari dell’Impero, nel senso che ricevevano dal Sovrano le terre e in cambio dovevano seguirlo in guerra, assisterlo nelle Corti di giustizia e aiutarlo nei bisogni pecuniari.

La popolazione era composta di << alcuni monaci, pochi militi per lo più nobili e baroni e una moltitudine di servi feudali >>.

Sorsero qua e là castelli e torri merlate, spenta ogni industria artigiana, ignote le arti, i costumi feroci. Le nostre genti passarono sotto il dominio di Torino, della Contessa Adelaide e poi del Marchese del Vasto, naturalmente si dovettero subire le conseguenze sempre dolorose delle guerre dei potenti per consolidarsi.

Si giunge cosi al Mille: le popolazioni si vanno destando dal letargo, sorgono i Conventi centri di preghiera, di studio e di lavoro manuale. E’ da notare in questo periodo la fondazione dell’Abbazia di Staffarda (1175 ?) che fece sentire anche qui da noi l’amore alla terra dei monaci cistercensi, proprietari com’erano della zona della Fornaca.
Esiste una << bealera >> che si chiama << della Badia >> e serve di confine fra il territorio di Torre S. Giorgio e quello di Moretta e Villanova Solaro.

Dal 1110 al 1549 i Saluzzesi passarono sotto il governo dei propri Marchesi, poi per 50 anni sotto il dominio incerto dei Francesi e finalmente sotto Casa Savoia. Torre S. Giorgio faceva parte del territorio del Marchese di Saluzzo, ma fino al 1300 non sono stati trovati documenti della sua vita religiosa e civile.

Dal 1300 al 1400

Verso il 1340 due figli del Marchese Manfredo, cioè Teodoro Bonifacio ebbero le Signorie di Scarnafigi e di Torre S. Giorgio (Teodoro ebbe un figlio di nome Giorgio), ma l’anno successivo il partito di coloro che non vollero riconoscere Manfredo Marchese di Saluzzo, sfogò le sue vendette anche a Torre, di cui occuparono il Castello. Nel 1346, l’infelice Tomaso II rientrò in possesso delle sue terre, compreso il nostro Castello, in forza della sentenza di Milano, di cui furono arbitri il Vescovo e il Signore di questa Città, Giovanni e Luchino Visconti (costoro erano parenti di Biccarda, contessa di Saluzzo).

Nel 1357 si dovettero subire nuove devastazioni e scorrerie, quando fecero qui sosta, in giugno, le bande dei Milanesi e dei Genovesi del Siniscalco (ufficiale comandante) di Giovanna, Regina di Napoli, alleata dei Principi d’Acaja, in urto con Federico di Saluzzo che si ebbe la peggio.

Nel 1396 Filippo dei Solaro di Asti acquistò il feudo di Torre S. Giorgio dai Signori di Cardè; dopo i quali restò il ramo di Moretta, discendente di Agaffino che assunse il titolo e i diritti della Torre, Estinto nel Conte Emanuele, passarono i diritti ai nipoti Vassallo di Costiglione che rinunciarono al Patronato.

Dal 1400 al 1500

Istituzione della Parrocchia - Il 20 febbraio 1437 l’Arcivescovo di Torino Aymone dei Marchesi di Romagnano approvò la costruzione della Chiesa di Torre S. Giorgio e la sua erezione in Parrocchia.

Da una copia autentica dell’Atto di fondazione si ricava: << Giovanni Catterino Solaro dei 'Signori di Moretta (figlio di Filippo) per fare buon uso dei beni ricevuti da Dio, in remissione dei suoi peccati, a suffragio dell’anima propria e dei suoi Predecessori, intende edificare e dotare la Chiesa del luogo della Torre di S. Giorgio, affinchè possa pervenire, diffondendo il culto di Dio, al gaudio eterno. In primo luogo assegna et dona alla medesima Chiesa la quarta parte della decima, 30 giornate di terreno e una con airale e orto attigui, dove intende far costruire a sue spese, la casa (canonica) con diritto di patronato, cosicché Egli e dopo di Lui i suoi Eredi possano nominare, eleggere e presentare il Rettore al Sig. Vescovo Diocesano >>.

Quest’Atto fu scritto a Moretta nella Chiesa della Beata Maria, presenti il Sig. Ugone Borgexy, Pievano di Moretta e tre nobili del Casato dei Solaro, l’anno 1429 il 6 ottobre.

Il diritto di patronato passò nel 1828 al Marchese Solaro del Borgo fu Marchese Giuseppe Vincenzo Gaudenzio; poi, nel 1842 al Cav. Faraone Solaro di Moretta fu Conte Gaspare, quindi per successione testamentaria del 21 - V - 1856 al Conte Emanuele Solaro di Moretta fu Conte Vittorio e infine con testamento 5 - X -1878 ai Conti Vassallo di Castiglione che vi rinunciarono con atto del 19 ottobre 1904, a favore del Vescovo Diocesano. La nostra Parrocchia passò dalla Diocesi di Torino a quella di Saluzzo nel 1804;

Riguardo al tabernacolo nelle Chiese: nel sec. XV il suo posto era nel muro a sinistra entrando, all’ altezza del Coro oppure nell’area circostante l’altar maggiore, cosicché il Sacerdote mentre celebrava, veniva a trovarsi di fronte al popolo, con il tabernacolo alla sua destra. Nell’interno era foderato di seta con dipinto o ricamato un calice sormontato dall’Ostia. Verso il 1500 si cominciò a metterlo sull’altare, ma in qualche luogo soltanto; lo prova la relazione della prima visita pastorale di cui parleremo.

Nel 1487 il Duca di Savoia pose l’assedio a Saluzzo con 30.000 uomini che desolarono le terre della pianura, rovinando biade e profanando persino le Chiese, di cui facevano ospedali, magazzini e stalle.
Un gruppo di armati Saluzzesi, guidati dal genovese Anima negra tentò una sortita contro il Sig. di Tailland che avanzava, con il favore della notte, sulla via di Torre di Cornafame, allo scopo di prendere alle spalle le truppe di stanza a Cervignasco e Torazza. Riuscirono soltanto a ritardarne l’avanzata, uccidendo molti nemici e catturandone altri; poi sempre combattendo, si ritirarono entro le mura di Saluzzo dalla porta di S. Martino.

Dal 1500 al 1600

Nel 1522 in luglio i Lanzichenecchi del Colonna che combatteva a favore di Carlo V, Imperatore spagnolo, sostarono a Moretta, posero il campo a Torre e a Cervignasco, restandovi parecchi giorni e poi si portarono a Saluzzo, dalla quale era fuggita la Marchesa Margherita Di Foix. I Saluzzesi dovettero cedere a gravi condizioni per aver preso le parti dei Francesi, nemici degli Spagnoli. Le stesse soldataglie ritornarono nel 1525, ripartendo nell’autunno, dopo i raccolti. Nel 1536 il Marchese Francesco fece atto di omaggio ai Francesi e cosi pure il Marchese Gio. Bartolomeo Solaro per Moretta e Torre, in seguito ad ordine del Sig. di Chabot, luogotenente generale del Re di Francia in Piemonte.

Ritornarono i partigiani dello Spagnolo e occuparono Saluzzo senza colpo ferire; allora i Francesi ridiscesero le Alpi e da Pinerolo, nel giugno 1537, rientrarono in Saluzzo, donde gli spagnuoli ripiegarono fuggendo verso Asti.
Una vera altalena di eserciti invasori: non si sapeva più a chi obbedire! Questa volta si dovette giurare fedeltà al Re di Francia che riconobbe Marchese di Saluzzo Gabriele ultimo dei figli di Ludovico II ed ultimo Marchese di Saluzzo; questi si portò a Carmagnola per riverire il Re Francesco I.

Intanto ben dolorose furono le conseguenze di queste scorrerie di bande armate e straniere: sopravvenne prima la carestia, perché i soldati portavano via tutto ciò che c’era da godere, bruciavano registri preziosi che a loro non servivano, commettevano nefandezze en prepotenze sulle persone, cosicchè le popolazioni spaventate fuggivano nei boschi e sui monti con le robe più preziose e con gli armenti e non si poteva più seminare.
Infierì poi la peste che fece morire un terzo di Saluzzesi.

Nel 1540 la carestia fu cosi grande che, si dice, gli stessi nobili mangiavano pane di crusca.

Dal 1600 al 1700

Dopo la dominazione francese (1549- 1601) il Marchesato di Saluzzo passò alla Casa di Savoia (Trattato di Lione 17 – I - 1601).
Durante la guerra di successione al Monferrato, il Piemonte fu invaso dalle armi francesi e a Saluzzo fu posto l’assedio. Era l’anno della peste: 1630. Per il Trattato di Ratisbona e Cherasco, fu restituita Saluzzo ai Savoia (1631). Sotto Carlo Emanuele II si godette un po’ di tranquillità; non cosi sotto Vittorio Amedeo II che fu costretto dalla prepotenza del Re di Francia Luigi XIV a prendere le armi: nella vicina Staffarda (18 agosto 1690) i Francesi ebbero la vittoria e presidiarono Saluzzo. Con i Trattati di Vigevano (1694) e Riswych (1697) vennero restituite le nostre terre al Duca di Savoia.

In questo frattempo che cosa succedeva a Torre? Abbiamo i Propositari del Comune, da cui attingere notizie di vita locale.

Nel '1616 la comunità pagò al Capitano di Giustizia una multa di 125 Ducatoni per non essere andati tutti i capaci al porto d’armi, dai 18 ai 50 anni, alla guerra in Asti.

Molto triste e desolante la situazione del 1631: nel propositario dell’anno, a caratteri molto sbiaditi sta scritto: << Preso atto che la magna parte delli huomini di questo luogo et habitanti sono defonti e (con i pochi rimasti) non si possa compiere il numero di 12 Consiglieri Ordinari, doversi raccorrere dalli Ill.mi Conti di questo luogo il corpo di comunità a otto o sei Consiglieri >>.

La peste aveva decimato anche quì la popolazione Mancano i propositari del 1628 - ’29 e ’30 e nell’archivio parrocchiale gli atti di morte; è registrato un matrimonio nel luglio 1630 e poi più nessuno fino al gennaio 1631: si vede che la peste infierì nell’estate e nell’autunno del` 1630, continuando a serpeggiare
nel 1631 — ’32 — ‘33, per cui si chiede una proroga al pagamento del diritto da macina al Generale delle Finanze (58 ducatoni) del tasso dovuto al Serenissimo Principe Tommaso e di ridurre a sacchi 27 di grano frumento il censo dovuto ai Conti di Moretta e Macello.

La vita intanto riprendeva a poco a poco il suo ritmo regolare; il Consiglio comunale veniva ricostituito e funzionava a tutela dell’ordine e del bene pubblico. Nel 1673 si rinnovarono i bandi: << Non si può tenere più di una troglia per ogni lira di registro e chi non ha neppure questo terreno, non può tenerne alcuna, sotto pena di due ducati d’oro di multa e ciò per evitare danni ai seminati ed ai prati, si proibisce di caricare legna sopra bestie, carri e carrette senza avere con sè la bolletta di accompagnamento pena la multa di L. 6 per ogni carrata, L. 3.

La vita intanto riprendeva a poco a poco il suo ritmo regolare; il Consiglio comunale veniva ricostituito e funzionava a tutela dell’0rdine e del bene pubblico. Nel 1673 si rinnovarono i bandi: << Non si può tenere più di una troglia per ogni lira di registro e chi non ha neppure questo terreno, non può tenerne alcuna, sotto pena di due ducati d’oro di multa e ciò per evitare danni ai seminati ed ai prati, si proibisce di 'caricare legna sopra bestie, carri e carrette senza avere con sè la bolletta di accompagnamento pena la multa di L. 6 per ogni carrata, L. 3 per carretta e L. 2 per somata, Bisogna poi disfarsi delle capre (per il danno che recano brucando tutto) >>.

Nel 1676 in gennaio il Consiglio potè radunarsi dinuovo nella Casa Comunale restaurata, dopo ben 34- anni di riunioni qua e là, nelle case dei privati.

Le adunanze consigliari erano precedute da citazioni verbali Consiglio del Messo comunale e dal suono della campana: si tenevano, d’ordine dei due Sindaci, con licenza del Castellano, che in questa epoca era Giulio Cesare Reinone.
I Consiglieri (in numero di cinque) restavano in carica per un triennio ed i Sindaci per un biennio: si faceva la rosa dei nomi dei Consiglieri da eleggersi e il Patrono sceglieva fra quelli. Il Castellano era nominato per un biennio dal Conte di Macello ed i Sindaci dai Consiglieri con la pluralità delle voci.

Dal 1700 al 1800

Nella guerra di successione Spagnola si accese una nuova lotta dei Francesi contro il Piemonte; culminò con il famoso assedio di Torino e la sua liberazione il 7 settembre 1706, per opera del Principe Eugenio di Savoia e del Duca Vittorio Amedeo II.
Nel 1709 si dovette provvedere il fieno per le truppe acquartierate a Scarnafigi e l’anno dopo per la cavalleria tedesca accampata a Pancalieri dal 13 settembre al 20 ottobre: la comunità dopo averne acquistato dai proprietari del luogo si rivolse a Scarnafigi da un certo Prina per un quantitativo che pagarono tardi, dopo una lite costosa, dato che i Patroni si erano rifiutati, in un primo tempo, di contribuire sui loro beni allodali (chiamati così perché non pagavano tributi quasi <<venuti da Dio>>).

I soldati prestavano servizio nel reggimento provinciale di Pinerolo: nel caso di renitenti alla leva si minacciava la comunità di obbligarla ad alloggiare un distaccamento di soldati a sue spese.
Per combattere i ladri si armavano gli uomini abili del Paese con intervento di Luogotenenti che traducevano i manigoldi alle carceri più vicine. Il mugnaio aveva l’ordine di non dare l’acqua a chi non avesse curato lo spurgo dei fossati, perché questa, saltando fuori, devastava la strada di Moretta.

Nel 1718 fu richiesto l’alloggio per 11 soldati di cavalleria del Reggimento Savoia con prelevamento di fieno.
Per i medicinali ci si rivolgeva allo << speciaro >> di Moretta Farmacista (allora il Sig. Pollano). Qui pure c’era il Medico (Gio. Antonio Peretti).

Periodicamente venivano riparate le strade pubbliche: a questo riguardo c’era una disposizione curiosa: S. M. nominava due Commissari per controllarne lo stato; se venivano trovate con buona manutenzione, nulla competeva agli stessi, se invece risultavano trascurate si facevano riparare e due Controllori si fermavano sul posto a sorvegliare i lavori, ricevendo dal Comune le opportune trasferte (da Pinerolo il 15—VI—1719).

Le tasse del tempo erano: la taglia in denaro e grano – i cotizzi personali — gli interessi dei privati acquisitori dei beni della comunità, le regie debiture, il gioatico o tassa bestiame: esattore, Gaspare Bainotti di Moretta per il quale prestava sicurtà Gribaudo Sebastiano. Le taglie erano segnate sul quinternetto consegnato all’esattore.
Nel 1740 si riaccese la guerra per la successione austriaca Guerra e Saluzzo servì come campo trincerato contro i francesi e spagnoli contrari alla successione di Maria Teresa, uomini e servizi vennero richiesti anche a Torre S. Giorgio. Numero 14 uomini si portarono a Polonghera per il servizio militare — un carico di 1000 rubbi di fieno fu destinato a Saluzzo, dove c’era l’accampamento di S. M. e poi a Racconigi —; legna venne richiesta per Verzuolo.
Nel 1743 si provvide al alloggiare militari, conducenti e mule e 25 fucilieri di scorta a 35 soldati spagnoli prigionieri, ed in parte malati, trasportati in seguito a Carignano con quattro carri; naturalmente si dovette somministrare loro legna per il fuoco e olio di noce per l’illuminazione. In dicembre altra richiesta di fieno (r. 2000); di paglia '(r. 1000); di legna (r.' 8000). Metà per Saluzzo e l’altra metà a destinarsi.

Il Comune per pagare le spese militari del Quartiere d’inverno in L. 425, soldi 10, denari 5 dovette procedere al taglio di un bosco, non potendo rivalersi sui proprietari che hanno avuto l’annata agricola molto magra: la notte del 21 maggio una grandinata produsse gravi danni.

Vi erano molti terreni incolti che servivano di pascolo comune ai particolari fino a S. Martino, dietro pagamento da parte della comunità di L. 1500 al Marchese Patrono.

Nel 1779 si costruì in cotto il ponte del Castello.

La sera del 6 maggio avvenne un piccolo tumulto nelle basse, davanti alla casa di certo Bainero che aveva affittato una camera a Franco Bosco, fabbricante di tela. Costui si era allontanato dando notizia al Prevosto Don Ansaldi della sua partenza per paesi stranieri, autorizzandolo a far restituire ai proprietari il filo di canapa che teneva in camera e non aveva potuto lavorare. Il Prevosto con << benigne e graziose espressioni >> cercò di persuadere il proprietario ad aprire la porta, ma quello vi si oppose, adducendo il motivo che non gli era stato pagato l’affitto di L. 35. Nel frattempo si era adunata gente e si venne a parole forti; il Prevosto cercò di calmare gli animi, ma poi si allontanò poiché si accorse che il Rainero non voleva capire ragioni e l’insultava per giunta, anzi qualche tempo dopo fu dallo stesso accusato all’Arcivescovo di Torino come sobillatore. Gli amministratori del Comune però difesero e giustificarono il contegno umanitario del Pastore in una solenne riunione con relativo verbale.

Ed ora veniamo all’importante questione della nuova Strada reale Saluzzo — Torino. Nel 1783 si era parlato del progetto del Generale Boine per il tratto dalla Gerbolina ai confini di Moretta che interessava il nostro Comune, invitato perciò a contribuire alla spesa.

Nel 1784 fu chiesto di prorogare il termine dei lavori al novembre 1785: i braccianti del luogo erano relativamente pochi per inghiaiare e raddrizzare trabucchi 683 di strada. L’Intendenza allora affidò il lavoro all’impresario Michele Somajno e nell’aprile del 1785 veniva collaudato il primo tratto di strada: S. Rocco, confini di Moretta per trabucchi 202,3. Era stato respinto il ricorso di Giuseppe Maria Bainotti che temeva per le fondamenta della sua casa, perché a poca distanza si stava estrendo la ghiaia: gli si fece osservare che il timore era immaginario, essendovi due buoni trabucchi. Rimaneva il tratto verso Saluzzo: il Comune provvide per l’ampliamento e il rafforzamento dei tre ponti, quello di piazza S. Rocco, quello della Madonnina e quello vicino alla casa di Giuseppe Sarva sui confini del territorio di Saluzzo. Questa città concorse per metà della spesa di quest’ultimo. Venne abbattuto il piccolo porticato di S. Rocco, Esegui i lavori l’impresario Pietro Borla che aveva fatto proposte più vantaggiose di quelle del Somajno, la ghiaia venne ricavata da Grella. Nel 1786 anche questo tratto veniva collaudato: la sua larghezza era di 2 rabucchi.

I proprietari chiesero la rifusione dei danni per terreni occupati dalla nuova strada e dai fossi laterali, per l’abbattimento di piante, scavi operati a Grella e passaggio nei fondi per il trasporto della ghiaia. La distanza dalle cave del Beneficio Bainotti era di trabucchi 224, da Grella trabucchi 417. E poiché siamo nell’argomento delle strade, si può ricordare un’altra opera utile e contrastata: Pampliamento di un tratto dell’attuale via Fornace che allora si chiamava via del Castello.

Vi erano due fossi laterali che restringevano la strada, per cui era difficile a due carri di passare e cosi pure, nelle processioni con il Baldacchino, bisognava misurare bene lo spazio per non... franare nel fosso. Si trattava di riempire i due fossati, si volle interpellare al riguardo l’Architetto Gaspare Andrea Mercandino, dell’Ufficio di Intendenza, che diede parere favorevole, vennero citati i proprietari interessati (non in giorno festivo in onore di Dio).
Da notare che nella misura fatta nel 1740 la strada suddetta era più larga, perché il fosso a ponente fu scavato in seguito per difendere una siepe viva ancora tenera esposta ai danni delle bestie. Chi più si oppose fu il proprietario: costui si scagliò contro il Sindaco, l’Intendente e tutte le Autorità presenti del Consiglio. Venne denunciato al Comando Provinciale << non essendo lecito nè a lui nè ad altri di parlare in tal modo >>. Placati i bollori si giunse ad urfintesa e la strada fu ampliata. Su per giù in questo tempo, si rettificò la bealera, davanti al Castello per trabucchi 26 circa. L’ansa che vi faceva l’acqua danneggiava strada e ponte: a lavori ultimati ne risultò allagata via Scarnafigi e rinforzate le sponde della bealera del Castello. Abbiamo l’importo della spesa: L. 118 e 10 soldi. I manovali percepirono soldi 15 al giorno con cavallo e carretta soldi 35, al Sindaco per l’assistenza ai lavori fu corrisposto il compenso di L. 1 e soldi 10 al giorno.

La cosa non andò tutta liscia. I fratelli Sabena pur essendo stati indennizzati dell’esproprio fatto, non erano rimasti troppo contenti e provocarono un ricorso contro le spese eccessive incontrate dal Comune per favorire soltanto la strada delle Cascine di Bussino. Venne loro risposto che i lavori erano stati eseguiti dopo regolare pubblicazione all’Albo Pretorio, approvati dal Sig. Intendente e per una strada che era patrimonio della comunità.
Intanto recedevano tre firmatari del ricorso, scusandosi che non erano stati bene informati della questione.
Il ponte sulla via di Villanova Solaro, che fino allora era costruito in legno venne ricostruito in muratura.
La Rivoluzione francese del 1789 mise a soqquadro specialmente la Francia e l’Italia. Il Governo Sardo quando ne senti le prime notizie, cercò di impedire che emissari passassero di qua delle Alpi, in Piemonte, a sovvertire l’ordine pubblico.

Si legge in un verbale di questa comunità del mese di luglio 1790: << Li disordini che sono di recente in più luoghi succeduti e promossi da alcuni di spirito torbido, inoltrati sino all’essersi temeriaramente e all’improvviso dato il segno della campana per adunare e concitare il popolo a tumulto ed atti violenti, con sovvertire, in tal guisa e nelle maniere più scandalose il buon ordine, mettendo in scompiglio le famiglie e tutto il pubblico, in evidente sprezzo delle Leggi". In seguito a missiva del Real Senato del 12 luglio c. a. deliberano di far chiudere il campanile a chiave e servirsene soltanto per funzioni, congreghe comunali, incendio, infestazioni e inseguimento di malviventi >>; a tale scopo si fanno preparare due chiavi, una per il Prevosto e l’altra per Bartolomeo Gregorio, campanaro e regolatore dell’orologio.

Nel maggio 1794 il Consiglio comunale << desiderando, nelle presenti circostanze di guerra, di contribuire anche con le pubbliche preghiere a sollievo del nostro Sovrano, della Reale di lui famiglia e dello Stato, ed a un tempo di ravvivare nel popolo la gran confidenza che in sino ad ora ha sempre avuta nella protezione della Vergine SS. e Miracolosa, venerata nel Santuario di Moretta, ha perciò determinato e risolto di fare processionalmente un triduo di penitenza e portarsi al suddetto Santuario e implorare l’aiuto della prelodata miracolosissima Vergine, affinché, mediante la di Lei potente intercessione, siano da Dio benedette le nostre armi e quindi risorga in questi Regi Stati quella profonda pace che per tanto regnò nei medesimi >>. Portarono come elemosine quattro torchie di tre libbre caduna. Sindaco: Avalle Domenico.

Dal 1800 al 1900

Napoleone I ripiombò sul Piemonte, sconfisse gli Austro-russi nella battaglia di Marengo (14-VI -1800) e le nostre terre ritornarono sotto il dominio dei Francesi.
In maggio si era inoltrata supplica a S. M. per ottenere un rifornimento di granaglie da destinarsi alla popolazione fino al nuovo raccolto, con dilazione al pagamento. Lo stesso anno si dovette imporre una tassa di L. 5 per ogni lira di registro, allo scopo di far fronte alle spese delle continue requisizioni per il servizio militare. Fruttò L. 648. Il Prefetto, nel suo viaggio da Saluzzo a Moretta e ritorno, il 23 vendemmiaio a. 13°, fu accolto al suono delle tribaldette con sparo di mortaretti e parata della Guardia Nazionale (24 uomini). Gli stessi onori vennero fatti all’Arcivescovo di Torino, qui di passaggio: le Autorità viaggiavano in vettura.

Nel 1807 la colletta per la Compagnia del Rosario fruttò: Colletta L. 10 in contanti e 102 cocchetti, meliga, canapa, frumento e <<robbe >>: per la musica al giorno della festa si spesero L. 35. In tutto 1’anno 1809 la colletta del «taschetto >> fu di L. 109, soldi 3, danari 8.
Nel periodo Napoleonico erano in vigore le seguenti contribuzioni: la territoriale, la personale, la mobiliare, quella delle porte e delle finestre (i verbali sono scritti tutti in francese).

Caduto Napoleone (1814) venne restaurata la Monarchia con Vittorio Emanuele I. Nel novembre 1824 il Consiglio fece l’elogio anche a nome della popolazione, al Sindaco Gio. Battista Peretti (dopo 8 anni lasciava la carica per trasferimento di domicilio): aveva esimie qualità morali, religiose, politiche, mediatore di pace nelle controversie.
Nel 1825 si riparò il selciato delle strade ad opera di Gio. Mainardo di Carignano (L. 132 di spesa).

Il Comune dichiara sufficienti ai bisogni locali le due osterie Osterie già esistenti, avendo di mira lo scopo sociale di << ridurre il fomite ben noto della depravazione dei costumi e della procligalità delle sostanze di moltissime famiglie >>.
Siccome quasi la metà del territorio era dei due Signori del Pascoli luogo, la comunità permetteva di far pascolare nei boschi pubblici, salvo che fossero dichiarati banditi, ma la Forestale fu più volte di parere contrario.

Un fatto notevole

Nel 1856 al Rev.do Sig. Don Bosco di Torino sono state versate L. 18 per le Sacre Quarantore, tenute in Parrocchia, la Domenica di sessagesima, 27-28-29 gennaio. Di questo fatto abbiamo una relazione che dice: << Il Sindaco Pietro Rivarossa andò la prendere Don Bosco a Villafranca con il suo cavallo per portarlo qui a predicare e confessare nelle Sacre Quarant’Ore: la prima predica fu delle Anime del Purgatorio e la cominciò così: "Nell’arrivare qui passai davanti al Cimitero, sentii una voce che mi disse: Tu, o Sacerdote che vai a predicare le S. Quarantore, di a questa gente che si ricordino di noi ". Allora prose guì a parlare delle anime, raccontò fatti uno dopo l’altro per tutta la predica. L’ uditorio restò subito meravigliato, lo sentiva con straordinaria attenzione, come un Santo: la udienza si moltiplicò in modo che non potevano più stare in Chiesa, parlava a voce bassa, ma stampava le parole >>.

Bonino Antonio fu Giorgio, nel 184-4, raccontò diverse volte r a famigliare ed amici di ricordare la figura di Don Bosco sul pulpito, la sua statura, il suo colore, la voce chiara, non declamatoria, ma famigliare, non accompagnata dal gestire, come fanno gli altri predicatori. Ricorda come venendo in casa canonica a pigliare il fuoco per il turibolo ed altri servizi di Chiesa, vide Don Bosco scrivere per le letture cattoliche sopra il davanzale della finestra del piccolo ufficio parrocchiale, unica camera calda che serviva pure da refettorio e salotto di ricreazione per tutti (probabilmente l’ultima camera a destra entrando, a pianterreno, adibita recentemente a scuola per tre anni).

Dal 1900 in poi

Essendo storia un po’ troppo recente ci si limita a qualche accenno:
Nel 1906 il Comune venne dotato della pompa antincendio L. 1.700 ; (di cui 600 versate dalla Contessa Riccardi).
Nel 1907 era stata ventilata la proposta di una ferrovia che Progetto allacciasse Pinerolo a Racconigi con diramazione a Torre, ma non ebbe seguito.

Nel 1909 il 3 e 4 maggio il gelo danneggiò seriamente i raccolti: anche allora il tempo giocava qualche brutto tiro.
Quante biciclette cominciarono a circolare in Paese? In principio le chiamavano velocipedi ed erano: n. 3 nel 1898; 6 nel 1905; 33 nel 1912.

Dal 1913 per essere Consiglieri si richiede la prova di saper leggere e scrivere.

La luce elettrica, illuminò il Paese, fornita dal mugnaio locale, Groppo Guglielmo, l’anno 1912; in seguito dalla P. C. E.
Una lapide in marmo apposta al muro della Casa Comunale nel 1922 ricorda i Caduti della guerra 1915 – ‘18: Candelo Agostino; Raspo Giacomo; Raspo Giov. Battista; Bersia Antonio; Vallero Domenico; Pagliuzzi Giuseppe; Falco Michele; Caldo Giovanni; Paglietta Giovanni; Paschetta Lorenzo; Arnolfo Giov. Battista; Migliore Sebastiano; Paoletti Gregorio.
Una macelleria fissa si ebbe dal 1927 con la cessione in affitto di una stanza al pian terreno della Casa Comunale.
Il 24 luglio 1920 furono venduti i beni della Congregazione di Carità: l’assistenza per legge era passata al Comune.
Durante il tragico e infelice periodo dell’ ultima guerra, scoppiata nel 1940, si ebbero le solite chiamate alle armi, con tre caduti: Farina Giuseppe, morto in Grecia; Ghirardi Giuseppe e Gribaudo Chiaffredo in seguito a malattia, contratta in prigionia e cinque dispersi, di cui 4 in Russia e uno in Grecia, le requisizioni militari, i pericoli del viaggiare, causa i mitragliamenti aerei su treni e veicoli.

Nel periodo contrassegnato dalla lotta delle formazioni partigiane contro i nazi-fascisti, il punto cruciale si ebbe negli ultimi giorni della liberazione. Prima le persone trattenute come ostaggi poi, verso il 23-24 aprile 1945 una colonna di tedeschi in ritirata dal Cuneese che si fermò in paese, piazzandovi artiglieria e mitragliatrici con i cariaggi nelle cascine, temendo un attacco dei partigiani da Moretta. Se questo fosse avvenuto, ne sarebbero derivati danni e lutti, anche alla popolazione: fu saggio consiglio venire ad un accordo fra le due parti, per cui la colonna si ritirò verso Saluzzo e di là seguì l’itinerario Staffarda - Pinerolo.

Durante la breve permanenza a Torre, i tedeschi curarono l’inumazione di due loro commilitoni portati già morti in seguito ad attacco partigiano nel tratto Verzuolo - Saluzzo. Erano cattolici e si chiamavano: Heinz Belz e Karl Klein; avvolti in 'un telo furono seppelliti nel nostro Cimitero e sulla tomba fissata una Croce di legno con nomi e data. Del primo furono richieste notizie da un parente, (nel febbraio 1949), residente a Budenhein, di stretto di Magonza sul Reno. Le forni il Prevosto, aggiungendovi: <<Ogni anno, il giorno dei Morti questa tomba riceve tributo di fiori e preghiere, nel nome della fratellanza cristiana che supera ogni barriera di razza e tutti accomuna nel Padre Celeste>>.
Il destinatario rispose ringraziando caldamente, obbligatissimo del tributo dato al suo caro, pregando che fosse continuato per l’avvenire e invocando da Dio ricompensa copiosa per tanta bontà. F.to: Heinrich Nuth.

Dell’altro nessun parente si fece vivo.
Il 23 — IV -1950 Mons. Vescovo provvedeva alla Benedizione del nuovo Salone Parrocchiale con palcoscenico (m. 20 x 7).
Dal 1953 funziona in paese un nuovo peso pubblico della portata di 25 tonnellate, lungo m. 7 X 3, costruito nell’officina dell’Ing. Buroni di Pinerolo.

Sul campanile spiccano 4 quadranti delle ore, illuminati, in seguito alla sostituzione del vecchio con un recente orologio, opera della Ditta Jemina di Mondovì.

Fra la Chiesa e la Casa Comunale, dove prima si coltivavano ortaglie, recinte da una rete metallica anti-estetica, sorge un moderno edificio scolastico. Altre opere di pubblica utilità sono in progetto a comprovare l’attività dell’Amministrazione comunale sensibile ai problemi locali, anche se le pratiche sono lunghe, farraginose e le incomprensioni molte: quod humanum est!

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